41° FESTA PATRONALE ORGANIZZATA DALLA PRO LOCO S.ANTONINO di SALUGGIA (VC)
La Storia….
All’inizio del XX secolo, la Festa Patronale di S. Antonino, secondo i racconti e le testimonianze degli anziani del paese, si svolgeva la prima domenica di Settembre. Antonino di Apamea, martire cristiano, viene infatti venerato dalla Chiesa Cattolica come santo e ricordato il 2 settembre.
L’immagine sacra di S.Antonino veniva onorata nelle funzioni religiose al mattino della domenica con una Messa solenne, cantata dal coro e accompagnata dall’organo, a cui seguiva una processione per le vie del paese, con la statua del Santo Patrono portato a spalle da giovani volontari. A mezzogiorno il campanaro dell’epoca “Cìn Losna” (così chiamato per via del suo carattere burbero e dai capelli rossi), suonava le campane con tanta maestria da ricevere i complimenti da parte di tutti.
Ancora oggi le funzioni religiose, anche se modificate negli anni nel loro contesto, continuano a manifestare un senso di appartenenza alle tradizioni popolari della nostra terra.
“Al Dì Dla Fèsta”, come veniva chiamata la Festa Patronale, era in effetti la festa più importante dell’anno. All’inizio del ‘900 il paese di S.Antonino, abitato prevalentemente da contadini, contava circa mille abitanti. Coloro che per motivi di lavoro si erano trasferiti in città, il giorno della festa vi facevano ritorno per trovare i parenti che non vedevano da un anno. Dalla piccola stazione del paese scendevano dal treno famiglie intere, anche con bambini neonati da far conoscere e presentare a famigliari ed amici.
Alcuni giorni prima della festa si sentiva nell’aria un profumo di dolciumi che le donne avevano portato a cuocere nei tre forni a legna del paese. Le “cavagne” (ceste, ndr) di vimini che le massaie riportavano a casa, erano ricoperte coperte con panni per protegge i profumi e la fragranza, ed erano piene di torcetti, gremole, tirà e l’immancabile “turta ‘t prùss” (torta di pere e cioccolato). Tutti prodotti dolci genuini fatti a mano e con farine di grano e meliga frutto del duro lavoro dei propri campi.
Molti giovani, per l’occasione della festa, erano soliti farsi fare il vestito nuovo, pantaloni e giacca, perché dovevano apparire eleganti per il ballo e per eventuali occasioni di fidanzamenti con le ragazze presenti alla festa. La “mùda” (cosi era chiamata in dialetto), confezionata da un sarto del paese, veniva fatta su misura in quanto allora non esistevano ancora gli abiti confezionati dalle aziende manifatturiere tessili.
Nella piazza del paese si stipavano baracconi di giostre e banchetti che vendevano torroni e dolciumi. C’era il tirassegno, Giuanin rampugna, il banco di beneficenza, la giostra a catene e altri venditori occasionali di merci varie, ma il monumento più importante che si erigeva in mezzo a tutti era il ballo a palchetto. Il palchetto di legno, a base rotonda, ricoperto da un telone colorato a forma di piramide e tenuto su da un palo centrale, imponeva una presenza di bonaria allegria. La struttura veniva montata al centro della piazza parrocchiale dal “Comitato Festeggiamenti del Santo Patrono” oppure dai coscritti dell’anno in corso, che poi lo gestivano stabilendo anche il costo del biglietto che ogni coppia acquistava, e dava diritto a 3 o 4 balli. Ad allietare la serata danzante era solitamente la banda musicale del paese, che si esibiva, con trombe e ottoni e diretta dal maestro dell’epoca, su musiche popolari e folk. Assiepati in piedi attorno alla staccionata del ballo c’erano molte persone che seguivano con curiosità, commentando sulle coppie di ballerini che si esibivano in virtuosismi passi di danze. Terminati i pezzi musicali, i ballerini venivano fatti scendere dal palchetto da una persona incaricata, che teneva il capo di una corda legata al palo centrale e, camminando lungo il perimetro della pedana, obbligava obbligava tutti gli occupanti della pista a dirigersi verso l’uscita. Questo metodo era sì un po’ rozzo, ma risultava molto sbrigativo e serviva a far rientrare più velocemente chi si era già munito di un nuovo biglietto d’ingresso per le successive danze, acquistato nel botteghino di legno situato di fianco all’ingresso.
Il momento più atteso della serata era verso mezzanotte, quando si svolgeva la tradizionale asta popolare ”ncantà al bùchètt”. Il bùchètt veniva appeso in alto al palo centrale del ballo, ed era composto da alcuni salami fatti in casa, da bottiglie di vino barbera, legati ad un mazzo di fiori. Durante i balli che seguivano, i giovanotti che volevano farsi notare dalle ragazze, concorrevano all’asta con offerte di denaro per assicurarsi il premio esposto. Il vincitore dell’asta andava a ritirare il premio tra gli applausi del pubblico, per poi consumarlo in allegra compagnia fino a notte fonda.
Al pomeriggio si potevano notare grandi spostamenti, per le vie del paese, di famiglie intere che a piedi raggiungevano le osterie per rinfreschi e godere dei sorbetti, attenuando la calura che incombeva durante il giorno. Dalle finestre aperte delle osterie e delle locande si sentivano canti popolari di persone allegre, aiutate da bevute di buon barbera. Se era intonato, al coro si aggiungevano altre persone, formando così un’unica compagnia d’insieme.
Alla fine del pomeriggio, per le strade del paese tra famiglie intere che tornavano a casa per la cena, si potevano notare gli occhi felici di un bambino che stringeva un salvadanaio di gesso colorato a forma di galletto vinto al ”giuanin rampugna”.
Una eredità raccolta dalla Pro Loco….
Dal 1976 a portare avanti la tradizione de Al Dì Dla Fèsta è la Pro Loco. Oggi il Santo Patrono viene festeggiato la penultima domenica di agosto (la 3° o la 4° a seconda del calendario), data la concomitanza con le feste patronali dei paesi vicini. La festa dura solitamente 5 giorni, dal venerdì alla domenica, ed offre ogni giorno una serie di eventi e manifestazioni che, oltre ad intrattenere la gente, offrono la possibilità di conoscere da vicino S.Antonino e le proprie antiche tradizioni.
Al posto dell’antico ballo a palchetto rotondo, sulla piazza antistante il centro Polivalente, dove ha sede l’Associazione, viene allestita una tendo struttura, sotto la quale si può ballare, consumare piatti genuini, con un ricco menù diverso ogni sera, e bere bevande di ogni tipo.
Grazie all’impegno dei numerosi volontari, per lo più giovani, che ogni anno lavorano alla riuscita della manifestazione, la Patronale di S.Antonino è riuscita col tempo ad affermarsi, attirando nella piccola frazione saluggese un pubblico sempre più vasto, proveniente da diverse località del Piemonte. Durante l’intero arco della manifestazione della Festa Patronale viene dato ampio spazio alla promozione del territorio ed alla valorizzare del prodotto locale di eccellenza: il Fagiolo di Saluggia. A lui viene interamente dedicato una serata, ove i volontari della Pro Loco propongono agli avventori un menù tipico, ove dall’antipasto al dolce, è possibile assaporare il famoso legume in tutte le sue forme. A farla da padrona è sicuramente la Panissa, piatto tipico vercellese. Alla qualità del riso proveniente dalle risaie della Provincia, viene unito il Fagiolo di Saluggia, coltivato nei campi di S.Antonino, cucinato secondo la tradizione santantoninese, dando vita al famoso risotto della cucina vercellese. Inoltre è possibile assaporare il famoso legume sia come antipasto, in insalata, che nel dolce. Il fagiolo viene infatti unito alla tradizionale ricetta piemontese del Bunet, per dar vita al Bunet al Fagiolo.
Tutto ciò viene fatto per non per pubblicizzare sempre più il “FAGIOLO di SALUGGIA”, facendo così conoscere i vari modi con il quale esso può essere cucinato e degustato, ma può essere anche motore di sviluppo per l’economia locale, in parte dedita ancora all’agricoltura.
Insomma questo e molto altro è oggi Al Dì Dla Fèsta di S.Antonino. In un mondo contemporaneo dove tutto è veloce, la Pro Loco intende ancora offrire alle famiglie che partecipano alla Festa un momento di serenità fatto di cose semplici, ma che hanno un sapore di genuina allegria.
S.Antonino Di Saluggia, 13040 Saluggia VC, Italy
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